La cosa è andata in questo modo: sono stato chiamato per impostare una scuola inconsueta, una scuola che provasse a leggere il presente e rilanciare idee per il futuro, pensata da MET e dedicata agli studenti delle scuole di Prato. E alla fine del percorso – di questo primo pezzo del percorso fatto di incontri e discussioni – mi sono reso conto che ad imparare sono stato io. Perché al di là delle nozioni, dei libri e degli articoli che puoi consigliare e condividere, per fiutare l’aria che tira contano emozione e curiosità, quelle che hanno animato le ragazze e i ragazzi della “School of Met”.

Siamo partiti dalle loro parole, dalle loro questioni, per scegliere con chi dialogare e su cosa. L’unico consiglio venuto da me, ai nastri di partenza, è stato di leggere “Realismo capitalista” di Mark Fisher, pensatore irregolare con radici nella critica musicale e cinematografica, diventato progressivamente centrale nel dibattito pubblico che cerca di decrittare la stretta connessione tra disagio individuale e derive del tardo capitalismo. Che è poi, ancora una volta, un tema caro ai ragazzi. E, prima che un tema, una condizione. Una condizione che la sensibilità dei ragazzi sa, prima ancora che mettere a fuoco, decifrare istintivamente nella sua portata epocale. Come uno strumento naturale, come delle vibrisse che si sintonizzano meglio di strumenti più razionali su quelle che sono le dinamiche del presente, curiosità e disagio sono stati le nostre guide. A partire, appunto, dalle loro – perché non c’è condizione più “scomoda”, e dunque rivelatrice, di quella di chi si affaccia all’età adulta e si trova di fronte, contemporaneamente, a percorsi già tracciati (da altri) che si rivelano privi di significato e a un’incapacità, oramai endemica, di immaginare il futuro – caratteristica sempre più tipica delle nostre società tardo capitaliste, dove anche il meccanismo democratico si inceppa sempre di più nelle pastoie di un dibattito pubblico privo di bussola. E allora, da dove cominciare?

Ad esempio dalle parole d’ordine messe in campo da alcuni movimenti – animati principalmente da giovani, come Black Lives Matter o Fridays For Future – che hanno saputo lavorare sull’immaginario e sui diritti. Ma anche sguardo sulle marginalità, sulla composizione della città, le stratificazioni sociali e sull’immaginario: abbiamo così lavorato sull’antropocene e sulla speculazione, sulle città airbnb e sul carcere, mantenendo un filo che connette temi tanto distanti tra loro, il filo che cerca di rispondere a una precisa domanda: che ruolo hanno le nuove generazioni in tutto questo, come fare a indirizzare i processi che caratterizzano il presente anziché venirne travolti? E, soprattutto, come fare a sentirsi meno soli, a tornare a immaginare di essere comunità?

Avevamo pensato di fare questo percorso in presenza, ma il secondo lockdown dovuto al Covid-19 ci ha fatti ripiombare nella dimensione virtuale. Anche questa condizione, non voluta, è stata spunto di riflessione – anche perché i ragazzi vi erano già obbligatoriamente immersi a causa della didattica a distanza. La scuola, allora, con le contraddizioni e le difficoltà che si è ritrovata ad affrontare, è diventata in modo naturale un tema ulteriore da affrontare. Ed è un bene che sia così, perché proprio la scuola è lo spazio (non solo l'istituzione, non solo i programmi) dove si formano i cittadini di domani: quando quello spazio si comprime, per forza di cosa, è giusto far partire le proprie riflessioni proprio da lì.

Con questo primo percorso studentesse e studenti si sono ritrovati ad affrontare materie che solitamente non affrontano al liceo: dall’antropologia alla scienza green, passando per la sociologia e la politica. Anche in questo caso, in questa fuga in avanti, verso il presente, il merito – la curiosità, l’innesco – è interamente loro. Ora, nelle fasi successive, sarà il momento di restituire alla città inquietudini e interrogativi, per trasformarli in strumenti in grado di creare comunità e un’idea di futuro. Sarà interessante starli a sentire. Perché è questo l’appello verso il quale le generazioni adulte sono spesso sorde: quello dell’ascolto.

 

Immagine: dagli appunti di Lucia Aliani

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