Giorni felici

Giorni felici

Una donna è sepolta dentro un monticello di sabbia, prima fino al busto, poi fino al collo. Suo marito vive in una cavità del cumolo di sabbia, alle spalle della moglie. Lo spettacolo inizia, la donna si sveglia al suono di un campanello, sorride e dice: “Un altro giorno divino”. E affronta una nuova giornata, provando a cavarsela e ad essere felice, come facciamo tutti.
Se Winnie non fosse sepolta in quel monticello di sabbia, Giorni felici potrebbe benissimo essere una commedia all’italiana sulla vita di coppia. Quel monticello di sabbia è il colpo di genio di Beckett, quello che permette agli spettatori di scorgere l’assurdità della commedia dei nostri giorni felici.
Winnie è bloccata in un monticello di sabbia; Willie ha problemi di mobilità e può al massimo, con infinito dolore, gattonare per brevi tratti; sono soli in un deserto; sono, forse, gli ultimi due esseri umani rimasti al mondo, un mondo che per loro si è ridotto a pochi metri quadrati: per questo Giorni Felici è un dialogo.
Alla fine, quando ci è stato tolto tutto, quando tutto sta per finire, quando l’essere umano è ridotto ad essere solo una testa che spunta da un blocco di sabbia, diviene evidente che l’unica vera necessità, l’unica ragione d’essere e la stessa essenza di un essere umano è un “tu” a cui parlare. Winnie non parla mai a sé stessa, non sproloquia a vuoto: lei parla a Willie per sapere che Willie c’è ancora; perché il pensiero che Willie sia morto e di essere rimasta sola è per lei l’ultimo e definitivo inferno, l’unico a cui non avrebbe la forza di adattarsi, quello in cui la vita non merita più di essere vissuta. Un’assurdità assoluta.
Ecco allora che tutto il parlare di Winnie è una sola ininterrotta preghiera: “Dimmi che ci sei”. E ogni grugnito di Willie, ogni suo faticato gesto verso Winnie, ogni suo risponderle - con ciò che gli è rimasto del corpo e dell’anima - che lui c’è ancora, che per lei lui c’è ancora, è atto religioso d’amore. Quei suoi balbettii, quei suoi gesti spezzati sono alcune delle più commoventi poesie d’amore mai “scritte”. Questo sarà stato ancora un altro giorno felice, se tu ci sei e finché ci sei ogni giorno sarà un giorno felice.
Quando Beckett non ebbe più la forza di scrivere un dialogo, quando smise di credere in un “tu”, scivolò, con terrificante coerenza, in un completo silenzio. Perché la trascendenza è un “tu”, e quando non si ha più fede resta solo il silenzio.

di Samuel Beckett
traduzione di Carlo Fruttero
uno spettacolo di Massimiliano Civica
con Roberto Abbiati e Monica Demuru

 

scene Roberto Abbiati
costumi Daniela Salernitano
luci Gianni Staropoli
assistente alla regia Ilaria Marchianò
suggeritore Filippo Baglioni

 

direttore di scena Loris Giancola
elettricista e fonico Daniele Santi
sarta Annamaria Clemente

 

coordinamento tecnico dell’allestimento Marco Serafino Cecchi
assistente all’allestimento Giulia Giardi

 

cura della produzione Francesca Bettalli e Camilla Borraccino
ufficio stampa Cristina Roncucci
foto e video documentazione Duccio Burberi
grafica ed editing Francesco Marini

 

produzione Teatro Metastasio di Prato

 

In accordo con Arcadia & Ricono Ltd per gentile concessione di The Estate of Samuel Beckett c/o Curtis Brown Group Limited

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