L’uomo si evolve ma non progredisce
Fragili ma irremovibili, basterebbero queste parole per comprendere la complessità dei personaggi dell’Antigone, andato in scena al Teatro Fabbricone a Prato. Ce lo spiega bene Massimiliano Civica, il regista, in un incontro con gli studenti del liceo classico Cicognini e in un’intervista fatta da noi di “Un gioco da ragazzi” e condotta da Rodolfo Sacchettini su Rete Toscana Classica. Lo spettacolo, il cui testo è stato interamente tradotto da Civica, si sofferma su degli aspetti particolari della tragedia di Sofocle. «L’Antigone non è un melodramma, non ci sono i buoni e i cattivi», spiega il regista. «Sofocle non ci invita a patteggiare né per Creonte né per Antigone: è uno spettacolo antipolitico». I personaggi, infatti, non vengono presentati in quanto membri di fazioni opposte che si fanno la guerra tra di loro, ma in quanto esseri umani con una dignità e con le proprie idee ed emozioni. Tralascia del tutto il piano politico, che quindi passa in secondo piano, fino a svuotarsi di valore. «A teatro lo spettatore è come un dio, che guarda tutto dall’alto e sa ciò che i personaggi non sanno». Ci accorgiamo infatti di quanto siano insignificanti le ragioni che portano alla morte, quanto futili i motivi degli scontri. È inevitabile domandarsi: perché? Non basterebbe concedere la sepoltura a Polinice? O, al contrario, rispettare il volere di Creonte? Sono domande le cui risposte risiedono nelle ferme convinzioni di entrambi i personaggi, nessuno dei quali è disposto a retrocedere. Sebbene le motivazioni ci sembrino così remote, il dolore è estremamente attuale. «Non credo nel progresso dell’uomo. La tecnologia progredisce, l’uomo si evolve». Civica sottolinea la persistenza dei sentimenti umani, che da sempre sono gli stessi e per sempre rimarranno tali. «Sono sicuro di avere gli stessi sentimenti di Dante, così come ce li avete voi», ci dice guardandoci negli occhi. «La paura della morte, il dolore, l’amicizia sono temi concernenti l’umanità già nell’Epopea di Gilgamesh, opera che risale al III millennio a.C.». E aggiunge: «Odio la parola cultura». È una parola che sembra racchiudere un concetto irraggiungibile, di difficile conquista. La verità è che «non sono i libri che ti insegnano la vita, ma è la vita che ti insegna i libri». La storia di Antigone si addice perfettamente alla forma utilizzata per rappresentarla, il teatro. «Il teatro è l’arte morente per eccellenza. È metafora della vita: ha un inizio e una fine. Nel mezzo conosciamo persone, instauriamo rapporti, ma quando lo spettacolo finisce non ne rimane traccia, la scena si svuota, il pubblico se ne va». Ancora una volta il regista ci induce a riflettere su quanto siamo piccoli di fronte all’esistenza. Come nel teatro così nella vita, tutto è effimero.
Luisa Bevilacqua
(foto di Duccio Burberi)
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