Abbiamo il diritto di guardare Amleto?
All'ingresso in sala del pubblico, il sipario è già alzato. Sulla scena, completamente solo, un uomo vestito in abiti elisabettiani sta parlando tra sé, gesticolando. Non siamo in grado di sentire distintamente le sue parole: possiamo, al massimo, provare a dedurle studiando i movimenti delle sue labbra, tinte di un rosso acceso.
Buio in sala. Un frinire di grilli riempie le nostre orecchie. Il principe di Danimarca inizia a ripercorrere i momenti salienti delle proprie vicende personali, nella rilettura innovativa del capolavoro di Shakespeare scritta, diretta e interpretata da Michele Sinisi.
Nessun altro è presente sulla scena, a eccezione del protagonista: a circondarlo non ci sono personaggi reali ma spettri che prendono consistenza unicamente attraverso le sue parole. Parole che non si limitano a raccontare le vicende del dramma ma evidenziano il dramma personale di Amleto. Un uomo che sta per soccombere sotto il peso degli eventi. Succube delle proprie emozioni. Accecato dalla rabbia. Diviso tra mille dubbi. Pazzo. Solo.
Basta osservare la scena per essere investiti dalla percezione del suo isolamento. Attorno al principe non ci sono uomini ma sedie bianche in contrasto con il suo abito scuro: tracce di un'umanità inconsistente. Paradossalmente, il personaggio più reale è lo spettro del defunto re, talmente presente nei pensieri del figlio da portare Polonio (cioè Amleto) a definire Amleto (cioè sé stesso) pazzo. E la pazzia lo porta a tentare di infrangere i canoni del teatro, a muoversi sul bordo del palco, quasi cercasse di venire verso di noi, di annullare lo spazio che ci separa, di renderci partecipi del suo dramma personale. Poi, però, torna indietro. Ha cambiato idea. Forse non si fida di noi.
E noi, a nostra volta, non possiamo fare a meno di pensare che, forse, non dovremmo essere qui. Dopotutto, cosa stiamo facendo? Stiamo sbirciando attraverso il buco della serratura, spiando la solitudine di Amleto. Chi ci ha dato il diritto di farlo? Chi legittima i nostri sguardi attenti, indagatori, pronti a rendersi colpevoli di giudizi ingiusti? Otteniamo una risposta all'arrivo del momento che tutti aspettano in qualunque rappresentazione dell’Amleto. "Essere o non essere?" chiede il principe, parlando a sé stesso, privo di un confidente nella sua solitudine. Solo noi possiamo sentire le sue parole, noi che stiamo violando il suo spazio intimo. Noi che non siamo poi così diversi da lui, con le nostre incertezze e i nostri fantasmi. L'abisso che ci separa dal principe non è più spesso di un filo di seta.