Tournée
Tournée s.f. fr. (derivato dal verbo tourner, «girare»)
Serie di spettacoli effettuata da compagnie teatrali, o da singoli artisti, in varie località secondo un itinerario e un programma stabiliti: essere, andare in tournée.
«Venga il canchero a questa professione e a chi ne fu l’inventore! Quando mi accomodai con costoro mi credevo di provare una vita felice: ma la ritrovo una vita da zingari, quale non hanno mai luogo fermo né stabile. Oggi di qua, domani di là; quando per terra, quando per mare, e quel ch’è peggio, sempre vivendo su l’osteria» lamenta Domenico Bruni in una lettera descrivendo i dolori degli interpreti della Commedia dell’Arte, costretti al viaggio fino a «romperci un paio di scarpe» e così in Attori mercanti corsari (Einaudi, 1993) Siro Ferrone, riportando la missiva, annota: «Nel gergo dei commedianti ‘rompere le scarpe’ è quasi un sinonimo di ‘recitare’, che registra insieme alla fatica del mestiere la fatale accettazione di un destino». D’altronde: Arlecchino non è nato in una stazione di Posta ossia in un luogo di smistamento e di transito? La tournée insomma – taglio artistico del territorio perché l’incontro fisico con un pubblico ogni volta diverso avvenga in un teatro ogni volta differente – dice la natura viandante della professione.
La tournée permette «la sperimentazione dell’essenza di questo mestiere» afferma non a caso Toni Servillo in 394 Trilogia nel mondo, film – prodotto da Teatri Uniti e Il Piccolo di Milano, regia di Massimiliano Pacifico – che narra il giro pluriennale della compagnia che ha messo in scena, dal 2007, La trilogia della villeggiatura di Goldoni. E d’altro canto la tournée consente la maturazione dello spettacolo («se va a vedere adesso Il giardino dei ciliegi non riconoscerà in questo quadro leggero come un ricamo il faticoso dramma che era al primo anno» dice Nemirovič-Dančenko al critico Efros, reo di aver recensito l’opera di Čechov, regia di Stanislavskij, alla prima, senza aver atteso cioè che s’affinasse nei suoi «particolari essenziali» attraverso le repliche); la tournée è l’occasione per la trasmissione umana del mestiere («le discussioni» a cena e «i consigli degli attori più vecchi» sono per Jouvet tra le circostanze decisive della propria crescita professionale, lo scrive in Elogio del disordine, CuePress, 2016); la tournée è pane e guadagno («posso dire dal parlottio che sento in sala prima del segnale di buio già l’incasso. Questo mi viene dalla pratica che ho acquisito attraverso i teatri che ho frequentato» spiega Eduardo De Filippo in Lezioni di teatro, Einaudi, 1986) giacché è il mezzo con cui far rimanere in vita un lavoro, dopo il debutto. Ebbene.
Nell’attuale sistema teatrale, in cui conta sempre di più la stanzialità produttiva, la tournée rischia di diventare un’occasione sporadica. E se così fosse si metterebbe a rischio, forse definitivamente, la tradizione attoriale italiana (fatta di carri e dialetti, di compagnie familiari e di gruppi girovaghi) e le radici errabonde di un’arte che per esistere nel tempo necessita di viaggiare nello spazio: traversando confini, scavalcando montagne.
Foto: Ilaria Costanzo, I, Shakespeare - Io Cinna, Accademia degli Artefatti - Contemporanea Festival, 2014
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