Quando gli ostacoli diventano risorse

Nella storia del teatro non sono mancati difficoltà, impedimenti, ostacoli. Ma l’ingegno teatrale ha saputo trasformarli in risorse: i problemi pratici possono insomma diventare uno dei motori per lo spostamento artistico dei linguaggi. Accadrà la stessa cosa anche in questo momento storico di cambiamento? Ecco tre casi cui ripensare.

1. IL TEATRO DELLE FIERE

Settecento, Parigi. Sono pochi i teatri autorizzati a fare spettacoli, ciascuno riconducibile a un genere, e particolare rilievo ed egemonia ebbero l’Opéra e la Comédie Francaise. Ma i teatranti aggirano il problema. Nelle fiere – in particolare Saint Germain e Saint Laurent – alcune compagnie trovano il loro spazio sfuggendo le norme e cucendo un tessuto spettacolare nuovo, basato sulla commistione di diversi linguaggi, danza e canto. Queste commedie irregolari, che eccedono gli spazi autorizzati, si conquistano subito le simpatie del pubblico: ecco che una proibizione, un “intoppo produttivo”, contribuisce a far evolvere le forme del teatro neoclassico francese. Proprio da qui, più avanti, nascerà il melò.

2. IL TEATRO DI BERTOLT BRECHT

Brecht si trova a scrivere la sua produzione maggiore tra il 1933 e il 1947, quand’è in esilio. Non è ancora un autore celebre e istituzionalizzato e ha difficoltà di allestimento. Eppure per lui il teatro è l’allestimento: Brecht non ha mai creduto alla drammaturgia scritta fine a sé stessa. Si trova dunque a inventare un codice rappresentativo per ovviare alla difficoltà materiale. Sarebbe eccessivo dire che la sua visione pauperista dell’impianto scenico nasca interamente dall’assenza di risorse, ma certo l’esigenza di limitare il dispendio ebbe un’incidenza. La scenografia del teatro epico è ridotta a pochi elementi semplici, facilmente trasportabili, economicamente gestibili. Del resto, anche nel teatro italiano accade qualcosa di simile fino a Eduardo De Filippo: permane un teatro di scenografie dipinte – facili da ripiegare in un baule – per le compagnie itineranti. Qualcosa di molto diverso da ciò che accadeva, negli stessi anni, in Francia e Inghilterra coi teatri stanziali. Ci volle del tempo per l’avvento della regia, intesa come costruzione di un impianto visivo solido e importante. La difficoltà materiale, la “bassa macelleria del teatro”, diventa quindi il motore e lo specchio di scelte artistiche di alto profilo.

3. IL TEATRO IN APPARTAMENTO

Il format del teatro in casa prende vita nel Novecento, soprattutto a partire dagli anni Sessanta: laddove la censura impedisce una manifestazione in uno spazio pubblico il teatro resiste negli spazi privati. È il caso degli esordi di Kantor a Cracovia o della compagnia Squat Theatre a Budapest: le prime aperture del gruppo ungherese prendono vita al numero 57 di via Uzsoki e poi, trasferiti a New York, si stabiliscono nella 23esima dove vivono e fanno spettacoli tra il 1977 e il 1985. I loft newyorkesi (quello di Wilson in particolare) diventano così ambienti di vita e lavoro, fucine artistiche e politiche. Anche il Living Theatre, quando comincia il suo percorso, parte da spazi eccentrici al sistema teatrale newyorkese, non a caso definiti off-off-Broadway: teatri alternativi di piccole dimensioni in cui creano un rapporto stretto e intimo con una piccola comunità. Non sono tante le persone che possono stare insieme nello stesso momento, ma tante sono quelle che passano dal teatro, e questo fa crescere la sensazione di far parte di un comune gruppo di antagonismo.

 

Foto: Jörg Kolbe, Bertolt Brecht, 1954 / CC-BY-SA 3.0

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