LA RADIO REVOLUTION

Partiamo però dall’inizio, dalle origini della storia della radiofonia. La prima trasmissione radiofonica in Germania avvenne nel 1923. Lo Stato aveva messo a punto l’infrastruttura di emissione, i tedeschi avevano i loro apparecchi riceventi, bisognava ora capire come usare quella tecnologia. Ernst Schoen, a capo della radiofonia di Francoforte, racconta in un’intervista a Walter Benjamin, che all’inizio si era fatto della radio una «gigantesca impresa di istruzione popolare. Cicli di conferenze, corsi di insegnamento, manifestazioni didattiche d’ogni genere e pompate in grande stile iniziavano e finivano con un fiasco». Il pubblico tedesco ascoltava solo le trasmissioni “di contorno”, e qui Schoen capisce che per dare vita a una rivoluzione, usando quella nuova tecnologia, bisognava mettere l’ascoltatore al centro, dargli retta, comunicare con lui e dare «ad ogni ascoltatore ciò che vuole, ma con qualcosa in più di quello che vogliamo noi».

Facciamo ora un salto temporale di quasi un secolo. All’inizio degli anni 2000 internet era molto diverso da come lo conosciamo ora. Dopo l’esplosione della bolla finanziaria delle Dotcom viveva una specie di abbandono industriale. Google e Facebook non esistevano ancora. Intorno al 2003, mentre prende piede la moda del blogging, contenuti autopubblicati dagli utenti, qualcuno inizia a pubblicare anche dei contenuti audio. La pubblicazione avviene attraverso la tecnologia del feed RSS, un protocollo di comunicazione condiviso tra chi pubblica e chi fruisce un contenuto. Funziona un po’ come quando qualcuno ti lascia le chiavi di casa nascoste da qualche parte: chi ha le chiavi le lascia sotto il vaso o sotto lo zerbino, comunica a chi dovrà entrare dove le ha lasciate, e questi le andrà a prendere quando gli servirà entrare in casa.
La tecnologia alla base della radio, la radio audizione circolare inventata da Marconi, Tesla, Fessenden e altri, ha bisogno di una simultaneità tra emissione e ricezione. Con il feed RSS, invece, il file viene caricato quando è finito e l’ascoltatore lo attiva quando è pronto per ascoltarlo. Ma come ci insegnava Ernst Schoen, ci vorrà del tempo perché alla rivoluzione tecnica si sposi una rivoluzione linguistica, culturale e artistica. 

La prima era dei podcast è quella che possiamo chiamare l’era dei garage o – parafrasando Steve Jobs di Apple – l’era dei «fusi di testa». Nerd appassionati di internet libero e di scritture per il web si cimentano nella possibilità di distribuire audio aggregati come fossero articoli di un blog. Nell’ottobre del 2003, alla conferenza BloggerCon di Cambridge, l’informatico e attivista Kevin Marks mostrò un programma di pubblicazione di contenuti audio integrato con iTunes di Apple. A quella conferenza era presente anche Adam Curry, ex VJ di MTV, che iniziò a pubblicare con quella stessa tecnologia un podcast dal titolo Daily Source. La parola “podcast” venne creata dal giornalista del «Guardian» Ben Hammersley nel febbraio del 2004, quando cercava di dare un nome a questo nuovo fenomeno: suggerì “audioblogging”, “guerilla media” e “podcasting”. Ed è a questo punto che entrano in gioco Steve Jobs e la Apple. Pochi anni prima l’azienda informatica Californiana aveva lanciato un nuovo lettore mp3 di successo, iPod, integrato ad una piattaforma di compravendita legale di file audio che si chiamava iTunes. Il problema di iTunes in quegli anni però è che i costi di licenza dei brani erano decisamente più alti degli incassi. Steve Jobs capisce subito che integrando nell’iPod questi nuovi audio creati dagli utenti, avrebbe avuto a disposizione migliaia di ore di contenuti gratuiti senza dover pagare alcun diritto d’autore. A fine 2004 mette in atto una doppia mossa: rilascia una nuova versione di iTunes con la quale si possono scaricare e ascoltare anche i podcast, e inizia a fare causa a chiunque usi la parola “pod” nei propri prodotti, attribuendosi così la paternità di un fenomeno di massa. Quando presenta la nuova funzione podcast di iTunes, Steve Jobs definisce il fenomeno come il «Wayne’s World of radio». Wayne’s World era un film di e con Mike Mayers che uscì in italiano con il nome di “Fusi di testa”, e raccontava di un gruppo di sfigati di provincia che mettevano in piedi un programma televisivo demenziale dalla propria taverna. Con quella formula Jobs descrive esattamente cos’era il fenomeno podcasting in quel momento: nerd isolati che dai loro garage potevano finalmente comunicare con tutti gli Stati Uniti, anziché essere costretti al raggio locale della radiofonia. 

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